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I misteri dell’enciclica di Papa Francesco (e l’ombra di Ratzinger)

Padre Lombardi, portavoce della Sala stampa vaticana, venerdì pomeriggio ha “smentito nettamente” che Joseph Ratzinger, nel suo buen retiro del monastero Mater Ecclesiae, stia completando l’enciclica sulla fede che aveva in animo di pubblicare entro l’anno. Eppure, la notizia che già da settimane circolava dentro e fuori le mura leonine, viene direttamente dal Papa.

Probabile pubblicazione entro novembre

E’ stato Francesco a rivelarlo il 13 maggio scorso al vescovo di Molfetta, monsignor Luigi Martella, ricevuto in udienza nel Palazzo apostolico. Martella poi ha raccontato i dettagli dell’incontro nell’ultimo numero del settimanale diocesano Luce &Vita: “Benedetto XVI – scrive il vescovo di Molfetta – sta terminando di scrivere l’enciclica sulla fede che sarà firmata da Papa Francesco”. E’ probabile che la pubblicazione avvenga entro il 24 novembre prossimo, festa di Cristo Re e giorno in cui si chiuderà l’Anno della fede voluto e aperto lo scorso ottobre da Joseph Ratzinger.

Il lavoro incompiuto

L’enciclica sulla fede avrebbe chiuso il ciclo di lettere pastorali dedicate alle tre virtù teologali: carità, speranza e fede. Sulle prime due, Benedetto XVI aveva già scritto le encicliche Deus Caritas est (2005) e Spe Salvi (2007). Mancava solo la fede e, stando a quanto aveva fatto capire lo scorso inverno il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, l’arcivescovo Gerhard Ludwig Muller, la pubblicazione dell’ultimo lavoro ratzingeriano era ormai imminente. Questione di settimane, si diceva in Vaticano.

Poi la rinuncia al Pontificato del teologo tedesco ha fermato il progetto, che ora potrebbe essere ripreso in mano dal successore. Come scrive il vaticanista Andrea Tornielli, su quel testo non si era ancora impegnato personalmente il Papa, ma vi lavorava la Congregazione per la dottrina della fede dopo aver ricevuto indicazioni da lui. Di materiale raccolto ce n’era già molto, tra appunti, relazioni e faldoni raccolti tra gli uffici di Curia, il palazzo apostolico e Castel Gandolfo.

Il precedente di Giovanni Paolo II

Non sarebbe la prima volta che un Pontefice porta a termine un progetto incompiuto del predecessore. L’ultimo esempio risale a pochi anni fa, quando Benedetto XVI diede seguito all’idea maturata da Giovanni Paolo II (con il contributo dell’allora presidente del Pontificio consiglio Cor Unum, il cardinale Paul Josef Cordes) di pubblicare un’enciclica sulla carità. Il progetto – iniziato nel 2002 – fu sospeso dal progressivo aggravamento delle condizioni di salute di Karol Wojtyla. Tre anni dopo, quelle bozze costituiranno parte non irrilevante della Deus Caritas est ratzingeriana.

Beati pauperes

Il vescovo di Molfetta ha rivelato però che Francesco ha in mente già una traccia di quella che potrebbe la sua seconda enciclica. Tema centrale, la povertà. Fin dal primo giorno dall’elezione, Bergoglio ha insistito sul concetto di chiesa povera per i poveri, e già dal nome scelto in cappella sistina (su suggerimento del cardinale francescano Claudio Hummes) era chiaro l’indirizzo pastorale del pontificato. “Beati Pauperes”, sarebbe il titolo (che in un’enciclica corrisponde alle prime due o tre parole del testo), secondo quanto ha scritto sul settimanale diocesano monsignor Martella.

Un’enciclica politica?

Sulla povertà l’allora arcivescovo di Buenos Aires ha combattuto le battaglie più dure. Basta rileggersi le omelie che teneva nelle chiese della capitale argentina o nelle strade (spesso quelle più periferiche) dove celebrava la messa. Nel libro-dialogo con il rabbino Abraham Skorka, Bergoglio definisce il capitalismo (al pari del comunismo) “l’oppio dei popoli”. Anche il 16 maggio scorso, in quello che la Santa Sede ha definito “il primo  grande e significativo intervento personale del Papa sul tema della crisi economica mondiale”, il Papa ha sottolineato come la maggior parte della popolazione mondiale viva “in una precarietà quotidiana con conseguenze nefaste” che deriva – ancor prima che dal “rapporto con il denaro che domina noi e le nostre società” – “dalla negazione del primato dell’uomo”. Posizioni non distanti dalla tradizione (si pensi ai ripetuti interventi di Ratzinger contro le perverse logiche mercatiste) ma che Bergoglio potrebbe declinare in uno stile nuovo, meno diplomatico e più diretto.


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